venerdì 29 luglio 2011

ciclicittà

Da quando ha imparato a scrivere ha sempre rispettato tutte le lettere. Herzan scrive da sempre, e ha dovuto abbandonare la scrittura a mano perchè lo trascinava in vortici di pensiero. Come sto scrivendo? Si domandava. Le sue lettere mutavano da frase in frase e da parola in parola, a volte, addirittura, una parola aveva la stessa lettera scritta in maniera diversa da una sillaba all'altra. Il giorno poi che egli scoprì che la lettera "G" rappresentava la sessualità, segnò la fine della sua infanzia come scrittore, e prima di riempire fogli con enormi "g" scritte con i più assurdi girigori barocchi, allo scopo di colpire chissà poi chi, decise di passare alla tastiera del pc, così uniforme, prevedibile, asettica. Pensare a ciò che si scrive, e non a come lo si scrive, era ed è essenziale per chi, come lui, non è un gran scrittore, ma a volte azzecca qualche frase, fa filar bene qualche racconto. Inevitabilmente, quindi, il computer cambiò la sua vita, e si può dire la migliorò, ma c'è una lettera per la quale ancor oggi Herzan prova nostalgia. Nel suo scrivere la lettera "i", infatti, era solito scivolare in una piccola analisi introspettiva di sè stesso di cui si bagnava totalmente per poi asciugarsi solo alla fine del brano. Nella grafia, questa è forse la lettera più facile di tutte da riprodurre, ma il dio della scrittura, o chi per lui, l'ha dotata di uno strumento diabolico: il puntino. Una "i" senza puntino era da sempre per Herzan un fratello minore abbandonato al proprio destino, un cono senza la pallina, un'enorme opera incompiuta. Ci sono "i" a cui si mette subito il puntino, "i" a cui lo si mette a fine parola, altre, invece, a cui lo si mette a fine discorso, nella malinconica fase della rilettura. E così Herzan ha imparato a leggere e rileggere la propria vita, ha imparato a non abbandonare a metà nessuna "i", ha imparato che ci dev'essere sempre un punto da qualche parte che si è perso, ma che brama il proprio posto nella pagina. Oggi Herzan ha messo un punto bello grande, molto curato, quasi un ricciolino. La "i", questa volta, era quella della parola "ciao".