sabato 3 dicembre 2011
foglia di thé
domenica 27 novembre 2011
Il limite tra qui e lì.
Questa volta Luca ha cercato di girare la situazione, stravolgere il punto di vista, e domandarsi se per caso non ci sia in lui un'eccessiva esaltazione della montagna, dovuta magari al solo fatto che in essa siano rachiusi alcuni capi saldi della sua vita. C'è la tranquillità della roccia, ci sono gli ampi spazi compresi in altri spazi. C'è il cielo vicino, ci sono le persone non invadenti, c'è la sensazione che nulla cambierà a breve, ma che tenderà a spostarsi con molta lentezza. Queste cose fanno parte di lui e della montagna. Certi cespugli seccati dal freddo sono le parti brutte della sua vita. Parti brutte ma necessario condimento della situazione, del contesto. Non so perchè si sia messo in testa che lui e la montagna siano animali simili, di fatto questa volta arriva alla montagna con
l'unico obiettivo di disfarsi di questo scomodo pensiero. Guidando tra le curve si accorge di come sia imbranato con l'auto oltre un metro sopra il livello del mare. Perfino i dossi in città si prendono gioco di lui, e lui cercando di giocare d'anticipo li affronta accelerando. Il freddo non gli piace e non gli è mai piaciuto. Da piccolo aveva ideato un sistema per mettere il riscaldamento per le strade. Crescendo l'ha abbandonato.
Le donne di montagna non gli piacciono, gli uomini di montagna non gli dicono proprio nulla. Nei negozi dei paesini montani mancano un sacco di cose, e se così non fosse, così sarebbe comunque.
La terra è dura, non accogliente. L'erba punge e i cani che incrocia hanno freddo, anche se sembrano divertirsi. Le famigliole gli stanno sulle palle. In montagna nei weekend è piena di famigliole. Pensa e ripensa Luca, fino a concludere che evidentemente levarsi la montagna dalle cose che lo affascinano sarà più facile del previsto. E' soddisfatto mentre si dirige alla macchina dopo questi giorni di ricerca, questi giorni di mani e orecchie fredde, di cioccolate eccessivamente costose e liquide, di piedi troppo ricoperti di sudore la sera, per via di calzini troppo premurosi. Luca si sta dirigendo verso l'auto quando in un attimo scorge l'essenza di tutto e si ritrova inerme. Davanti ad un burrone rivede tutta la vita, il limite tra il qui e il lì. L'essere sopra a tutto e appena sotto al cielo. Vedere vicino ma non poter toccare. A pochi passi da un burrone ritrova gli spazi aperti del mare, gli uomini formica, la sensazione di non essere. Frantumatasi in polvere la sua missione, si ritrova nudo, ad accettare che la montagna continuerà ad affascinarlo. Apre un libretto in cui segna appunti, e su cui ha deciso di annotare tutte le cose di cui si è rassegnato di subire il fascino. Legge. L'odore della benzina, il neo della mia ex, la parola karma. Scrive. La montagna. E già che c'è, aggiunge un'altra parola. Luca.
mercoledì 3 agosto 2011
Sfiga
venerdì 29 luglio 2011
ciclicittà
martedì 28 giugno 2011
Dei delitti e delle pene
domenica 22 maggio 2011
on line
"Stai calmo"
"Calmo un cazzo, fa schifo qui, non è serio. Io me ne vado."
"No, perfavore, me l'hai promesso. Ho preso 8 in storia"
"Va bene, ma se non arriva tra 5 minuti io me e vado e ti aspetto in macchina. Ma che stronzata è questa? Cosa centro io?"
"Papà lo sai che se dipendesse da me non ti farei stare qui. ma niente più ora dipende da me e sono costretto a farlo"
"Va bene va bene ma ho detto 5 minuti. Ne è già passato uno."
Mio padre odiava guardare in faccia la realtà, era impossibile quando ci si metteva, ma quella volta mi aveva promesso che mi avrebbe aiutato. La mia vita era un mezzo disastro, ma poi invecchiando scopri che a 16 anni che la vita possa essere un disastro ci può anche stare, il punto è che tutto quello che ti circonda a quell'età ha un'aria solenne, importante. Ti lascia la ragazza, ok nessuno ti amerà mai più, prendi 4 in italiano, ok non scriverai mai un libro. Insomma a 16 anni parole come "mai" e "più" sono martelli che torturano la tua serenità. Certo la mia situazione era una bella merda comunque, ma avevo deciso che dovevo fare qualcosa per cambiarla, e convincere mio padre a incontrare di nuovo mia madre mi sembrava la partenza necessaria. Ormai era da 1 anno che si erano lasciati, ma non c'era ancora ufficialità al divorzio perchè, dal maledetto giorno di quella litigata, non si erano più voluti vedere o parlare. Mio padre era un operaio, una persona per bene ma incazzata col mondo. Mia madre era una psicologa specializzata nell'assistenza dei ragazzi delle scuole medie.
"un minuto, un altro minuto al massimo"
Io credo che ne fossero passati almeno 7, ma mio padre cominciava a desiderare di vederla ormai, e più passava il tempo più la sua insofferenza puzzava di spettacolo teatrale. Avevo preso un appuntamento nel suo studio dando un falso nome, non volevo che mia madre arrivasse pronta all'incontro, era troppo intelligente per mio padre, con la giusta preparazione l'avrebbe potuto distruggere, e no, questo quel pover uomo incazzato non lo meritava proprio.
"Ok basta. Andiamo via cazzo."
"No, eccola!"
La porta si aprì ed etrò una donna distratta, che guardava per terra portando in mano fogli pesanti. Aveva una gonna nera fin sotto al ginocchio, una camicia bordeaux e le calze scure. Non avevo mai visto mia madre a lavoro, non sembrava nemmeno lei con i capelli raccolti.
"Buongiorno"
"Buongiorno"
Sbigottita mia madre sistemò gli occhiali e riconobbe mio padre.
"Buongiorno" ripetè imbarazzata come se non avesse già salutato.
"Buongiorno un cazzo!" esclamò mio padre. Ma il suo sguardo era troppo ferito perchè potesse suonare d'insulto la sua frase.
"Ciao mamma, scusa, è colpa mia. Devo parlarvi, vi prego. Sediamoci, vi prego."
"Io sto in piedi!" esclamò mio padre. Mia madre invece sussurò che stava lavorando e non poteva fermarsi ma io le risposi che l'appuntamento dalle 16 alle 17 l'avevo preso io e che quindi per un'ora lei non aveva niente da fare.
Mia madre si sedette sospirando come se stesse per partire per la guerra. Avvicinò a se il posacenere e si accese una sigaretta.
"Lo sai che questo non è il modo..." La fermai prima che potesse continuare a parlare.
"Chiedo scusa ad entrambi ma se non vi parlo ora forse domani sarà già troppo tardi."
A mio padre tremava il ginocchio. Una goccia di sudore scendeva ogni 10 secondi dalla sua fronte, colando al lato del viso fino ad infilarsi sotto alla camicia nera.
Mi resi conto in quel momento, che dopo tanto tempo si era rasato il viso e pensai che doveva essere per desiderio di rivincita.
Io credo dobbiate parlare, ma non so cosa dire. Posso però mostrarvi una cosa che in fin dei conti è il motivo per cui siamo qui ora. Estrassi dallo zaino un disegno e lo misi sulla scrivania di mia madre. A dire il vero non era un vero e proprio disegno, ma un foglio bianco con una linea tracciata al centro che lo divideva a metà.
"Sono fermo qui" dissi loro. "E' da giorni che tutta la mia vita è attraversata da linee. Mi perseguitano, dividono ogni cosa che io veda. L'altro giorno ho pianto perchè sentivo che le linee stavano massacrando la mia testa, stavano urlando dietro di me. Sento che devo spaccare qualcosa in continuazione, distruggo tutto dividendolo a metà e poi ancora a metà. Ora, io credo dipenda da voi. Sta a voi decidere cosa farne di me, perchè la prossima cosa che distruggerò sento che sarà me stesso."
Mia madre rimase in silenzio e portò la sua mano sulla mia dicendomi di venire più vicino con la sedia. Mio padre decise invece di sedersi sul divano polveroso, spofondò in quel divano e della polvere non gli importava più.
"Io non vi chiedo niente ma ho creato una stanza di carta bianca e vi ho messo una matita in mano. Ora sta a voi decidere se tracciare una linea ma sto finendo le forze, e sappiate che dovrete assumervene la responsabilità se lo farete."
Mia padre non ce la poteva fare a parlare, era proprio impossibile che da lui venisse fuori qualcosa in quel momento. Mia madre lo sapeva e sapeva di avere il microfono puntato. Toccava a lei, come sempre quando c'era da parlare, come mai quando c'era da agire concretamente.
"Credo che ti dobbiamo delle scuse perchè quella riga è piena di sangue. Bagnata di dolore. Credo che nessun figlio dovrebbe notare l'umanità dei genitori, almeno finchè questi sono in grado di non farsela addosso." Mio padre fissò il pavimento e poi sollevò gli occhi. Ora o mai più sembrava pensare. "Scusa, stronza. Però scusa." disse con voce tremante. Strinsi forte la mano di mia madre e lei scoppiò in un pianto di dignità e orgoglio.
I miei non tornarono mai insieme ma da quel giorno ripresi a vivere normalmente, ricominciai anche a disegnare cose che non fossero linee. Smisi di svegliarmi in lacrime nella notte. Non c'era stata una soluzione quel giorno, ma avevo alleggerito i miei genitori di un peso che portavano dentro. Credo che sia per questa ragione che mio padre poi riuscì a trovare una nuova compagna. Credo sia grazie a me che mia madre torno a sciogliersi i capelli. Non eravamo più quelli della foto in montagna che tenevo sempre sul comodino. Dopo quel giorno loro erano molto più giovani e io ero diventato molto più vecchio. Non ebbi mai più sedici anni e ancora oggi penso che me li meritassi invece, i miei sedici anni. Nel dubbio prendo mia moglie e mio figlio e scatto l'ennesima foto tutti insieme. Senza linee.
Mar, gherita
Orientandomi
Era un caldo 2 Maggio padovano e, all'età di 29 anni, Manuel stava scoprendo di dover chiudere per sempre col calcio, quel calcio che oltre ad avergli fino a quel momento dato da mangiare, gli aveva da sempre riempito un enorme buco che sentiva di avere dentro. Un sospiro avvolse tutta la sua vita in quell'istante. Sentì che c'era qualcosa di strano dentro di lui. Invece della disperazione che si sarebbe aspettato di provare, fu pervaso da un forte senso di sollievo. Un po' come la moglie dell'alcoolista violento, che non sa lasciarlo ma ne augura la morte, così Manuel accolse la notizia che il calcio usciva per sempre dalla sua vita. Solitamente si impiega molto più tempo a trasformare i cambiamenti forzati in nuove opportunità, ma forse tanto era stata la vita che il suo amato calcio gli aveva condizionato, che lui stesso era finito per sparire dietro ad una passione travolgente e diventare vittima di sè stesso.
"La ringrazio dottore, arrivederci."
Il tempo di uscire dall'ambulatorio e respirare l'aria come se vivesse da quel giorno per la prima volta. Una lacrima lavò quel nuovo viso e un sorriso finì l'opera connettendo il viso al cuore.
"E ora?" Pensava, senza riuscire a levarsi quel sorriso dal viso. Pensò ai soldi che aveva da parte, e che avrebbero potuto garantirgli una piccola pausa prima di entrare a tutti gli effetti nella ditta di famiglia. Non era tipo da vender salumi lui, non lo era mai stato, ma senza il calcio questo futuro gli sembrava ormai inevitabile e una laurea in filosofia sapeva benissimo quanto poco valesse in ambito lavorativo. Non c'è tempo però di pensare al domani quando ci si deve ricostruire il presente e così Manuel giunse alla conclusione che fosse arrivato finalmente il momento del viaggio che aveva sempre sognato. L'Oriente. Il tempo di arrivare a casa ed era già su internet a cercare il biglietto aereo. Preso. Partenza il 5 Maggio, ritorno non programmato. Era il momento di fare la valigia. In quel periodo della sua vita Manuel viveva con alcuni amici, due ragazzi e una ragazza con cui aveva condiviso il percorso universitario e che si trovavano ancora a Padova per fare corsi specialistici. Decise di non dire nulla a nessuno del viaggio, ma di lasciare un biglietto. I primi due giorni furon dedicati alla preparazione dei documenti appositi, allo studio di Istambul su internet e al saluto ai posti della sua padova in cui, più o meno volontariamente, aveva lasciato pezzi di sè stesso. Il giorno 5 il volo era previsto per le ore 20 e Manuel aveva deciso di dedicare le sue ultime ore prima di partire per l'aeroporto di Venezia ai suoi coinquilini. La casa era vuota perchè tutti erano usciti per andare a lezione o a lavoro. Entrò nella camera di Francesco. Francesco era un ragazzo toscano, che viveva a Padova da ormai 7 anni, ma che ancora non aveva non solo perso l'accento originario, ma anche quello sguardo un po' da spaesato di chi è in contatto con il luogo in cui vive, ma non ne è in simbiosi. Manuel decise che, da ognuna di quelle 3 stanze, avrebbe preso qualcosa da portare con sè che rappresentasse il proprietario della stanza. Con Francesco Manuel era sempre andato molto d'accordo, ma non era mai riuscito a sopportare la musica che il toscano ascoltava. La camera di Francesco era infatti piena all'inverosimile di cd regge. Decise che però per quel viaggio forse valeva la pena dare una possibilità anche alla musica di Francesco. In fondo si trattava di costruire il nuovo "sè" e quale miglior proposito che farlo mettendo in discussione i propri gusti musicali e provando nuove musiche? Prese a caso un cd di Bob Marley e lo infilò nello zaino, rigorosamente invicta con cui aveva deciso di partire. Per tutti gli anni della scuola i genitori gli avevano comprato zaini di sottomarche e lui non era mai riuscito a sopportarlo. Quello zaino fu il primo acquisto agli albori della sua nuova vita universitaria e Manuel era convinto gli avesse sempre portato fortuna. Lasciata la camera di Francesco si diresse verso la camera di Anna ma all'ultimo sterzò e decise di lasciarla per ultima. La stanza di Marco era un disastro, disordine ovunque e igiene trascuratissima. Ma questo era Marco, un ragazzo con un meraviglioso caos creativo, che spandeva in ogni cosa che facesse. Manuel adorava il piccolo Marco e lo sentiva come un fratello più piccolo da difendere e coccolare. Una volta lo aveva pefino accompagnato in una specie di viaggio di sopravvivenza in mezzo ad un bosco dalle sue parti vicino Biella. Di quel viaggio Manuel ricordava tante cose divertenti, ma più di ogni altra ricordava come si erano divertiti ad aprire i pesci appena pescati utilizzando il coltellino svizzero color blu che avevano comprato prima di partire. In realtà avevano comprato due coltellini prima della partenza, ma ovviamente Marco perse il suo probabilmente ancora prima di scendere dall'auto. Decise che il coltellino sarebbe stato un ricordo potenzialmente anche utile e lo mise nello zaino. Restò molto in camera di Marco a guardare le vecchie foto e a pensare a quanto gli sarebbe mancato, ma restò molto lì dentro anche per allontanare il più in fretta possibile il momento di entrare nella camera di Anna. Anna era una ragazza di Modena, arrivata a Padova con la voglia di cambiare il mondo. Dal primo giorno in quella casa aveva instaurato con Manuel un rapporto molto diretto, molto aperto. C'era sintonia e forse anche parecchia stima reciproca. Erano animali simili, eternamente schiavi delle proprie lune e opere incompiute della propria discontinuità. Vederli insieme era bello, parlavano di tutto ma stavano anche tanto in silenzio, riuscendo a passare ore insieme senza dirsi una parola, ma ritrovandosi continuamente ad osservare lo stesso oggetto. Lo stesso fiore, termosifone, tostapane... Lui non sapeva definire il fascino che lei esercitasse su di lui, e a tratti si era convinto perfino di essere condannato ad amarla. Per fortuna a tratti si era ritrovato anche ad odiarla, e questo forse lo aveva salvato o rovinato, ma di sicuro gli aveva permesso di trovare una dimensione accettabile, di galleggiare su quel fascino e poterne godere senza intaccarlo. "Chissà se in oriente troverò pezzi di lei" pensò, e passarono parecchi minuti prima che decidesse che oggetto sottrarle. Alla fine opto per il suo fazzoletto, quello che era solito annodarsi al collo prima di salire in bicicletta. Era pieno del suo profumo e Manuel pensò che di una persona così non si potesse che rubarne qualcosa attraverso i sensi. Non lo mise dentro allo zaino, ma decise di legarlo sullo zaino in modo da vederselo sempre con la coda dell'occhio alle spalle. Chiuse dietro di sè quell'ultima porta, e andò in soggiorno. Aveva comprato 100 pastine di diverso assortimento e le aveva messe sul tavolo perchè voleva che il ricordo della sua partenza fosse legato indissolubilmente al ricordo di qualcosa di dolce. Solo anni dopo gli raccontarono che, per quell'idea, rischiò di vedere il suo ricordo invece per sempre collegato ad un'indigestione... Tutto erà pronto per partire, prese carta e penna e scrisse.
"Cari amici io vado via per un po'. Sto partendo per Istanbul, e da lì comincerà il viaggio in oriente che ho sempre sognato. Non so se e quando tornerò, ma ho lasciato 3 spritz pagati al nostro solito bar perchè brindiate alla mia salute. Siete dentro di me e vi prometto che troverò il modo di farvi avere mie notizie. Vi voglio bene. "
Alle 21 Manuel piangeva a dirotto vedendo dall'aereo una stella cadente, alle 24 le luci di Istambul, sedute a guardarlo arrivare, gli davano il benvenuto.
martedì 19 aprile 2011
Beh
mercoledì 30 marzo 2011
Buondì Matto
Ho deciso di camminare sempre con un bicchiere d'acqua in tasca! E' la svolta! Appena le cose si incasinano, pluff, ci infilo la testa dentro, anestetizzo la situazione. Guardarsi da fuori è spesso neccessario ma è sempre difficilissimo. La nostra testa non ha interruttori e non si può fermare il tempo, ma spesso siamo noi a velocizzare la vita, staccarci i piedi da terra e tuffarci nel caos, senza nessuna speranza di uscirne interi. Corpo fermo, immobile, rimbalzo interiore e fuori dal corpo per 3 o 4 secondi. Dove sei? Con chi sei? E' tutto come vorresti? Cosa puoi fare per migliorare tutto questo? E poi boom, si torna al proprio posto, si sbatte le palpebre e si cambia o mantiene la situazione, guadagnandone comunque in consapevolezza. Oggi, mercoledì, mi butterò nella mischia col bicchiere d'acqua in tasca. Senza paura. E se sentirò troppo caos. Salto dentro, testa nel bicchiere, valutazione della situazione, individuazione e perseguimento nuovi scopi. Boom! Sembrerò più lento ma sarò invece molto più veloce.
giovedì 17 marzo 2011
lidl-e by lidl-e
I gatti finiscono a Berlino così come i topi finiscono a Londra. E tu sei gatto o topo?
Io sono gatto e come tale mi lego ai piedi della donna che mi ha conquistato, strusciando il pelo sulle sue caviglie e alzando ogni tanto il muso per guardarla negli occhi.
I bassi dei national come un defibrillatore mi riportano spesso in vita. Fermata. Biglietto. Fiera. Lavoro. Mascherarsi. Naturlich! E c'è correre a casa, togliere l'abito elegante come se fosse un unico costume abbassando la zip dietro. Sfilarsi l'identità, sciacquarsi per toglierne via la puzza e correre all'appuntamento con la città che scrive, la città che ha qualcosa da dirti e lo dice molto bene. Le scritte sui muri, le cartoline pubblicitarie e gli adesivi nei bagni dei locali. Cercare indizi di sè. Trovarne misti a indirizzi di Berlino e mescolare il tutto insieme.
Ma quanto bello sono a Berlino? Decisamente a mio agio in una felpa che mi nasconde bene, passeggio sentendomi re e di conseguenza bello e forte. Ma quanto siamo belli io e lei insieme? Ogni tanto ne sento la mano. C'è la mano di una città che mi da una mano. E allora mi sento vivo, anche se perso. Mi sento vivo, anzi, Lidl-e.
lunedì 7 marzo 2011
s-fuggire
sabato 12 febbraio 2011
CONVERSANDO IN AFRICA
sorride
"nome?"
"il mio nome è Domingos" detto tutto scandito bene, come se a parlare fosse una macchina da scrivere.
"parli italiano! Complimenti"
"un piccolino, ma capisce. Italiano spagnolo e portoghese."
"dove hai imparato?"
"con volontari. ascolto volontari parlare"
"Bravissimo!" Con gli occhi pieni di stima. "quanti anni hai?"
"dicia seite" dice vergognandosi un po' di tutta la mia ammirazione.
17 anni, mai vissuto fuori da questo villaggio e parla 3 lingue... "E' il tuo cane quello?"
"si!" dice lui orgoglioso.
"come si chiama?"
"Speranza"
"Mi prendi per il culo?"
"cosa?"
"No niente. Perchè non sei a scuola oggi?"
"Oggi ginnastica a scuola. Non tengo soldi per pagare ginnastica." Dice guardando per terra...
E DA QUEL GIORNO IN POI HO GUARDATO NEGLI OCCHI L'AFRICA, COSCENTE CHE Lì, IN GUINEA BISSAU, "SPERANZA" E' SOPRATTUTTO IL CANE DI DOMINGOS"